Buon pomeriggio...
Naturalmente, come potete immaginare, oggi è una giornata molto complicata. Al mattino riunione per definizione III prova scritta all'esame di stato, poi lo svolgimento della stessa. Ora abbiamo terminato le correzioni delle quattro discipline e ci accingiamo alle operazioni conclusive che porteranno alla definizione dei punteggi della I, II e III prova...
Per tenervi compagnia, mi avalgo pertanto ancora una volta dell'aiuto del collega Andrea Gherzi. Pubblicherò, pertanto la terza puntata del suo interessante saggio sull'Umorismo in musica....
Leggetelo con attenzione...
Se volete rileggere le puntate precedenti...
E ora...ecco la terza puntata...
Andrea Gherzi, Umorismo in Musica (terza parte)
Così funziona il meccanismo nel genere dell’opera
buffa, dove una musica allegra accompagna le situazioni umoristiche proposte
dal libretto e realizzate dalla messa in scena[1]. Non
ci dilunghiamo pertanto sulla legittimità della comicità musicale, che
rientra nell’annosa questione più generale del valore semantico attribuibile
al linguaggio dei suoni. Qui intendiamo solamente proporre una piccola
rassegna umoristica di casi a tutti comprensibili, quegli errori cioè compiuti
in buona fede scrivendo o discorrendo di opere musicali. Se rinvenire fra i
suoni una precisa volontà ironica può risultare faccenda controversa e
spesso difficilmente dimostrabile, irresistibile sgorga l’ilarità provocata
dagli strafalcioni o dai lapsus di chi storpia i titoli delle composizioni
musicali, ne confonde gli autori e dalla mescolanza di ambiti diversi crea
giochi di parole originali quanto sorprendenti. Teniamo a precisare che la
carrellata di casi che presentiamo, anche i più singolari, è assolutamente autentica
e documentata.
Tali casi abbondano nei compiti degli scolari, che
magari ascoltano malamente la lezione o leggono distrattamente qualche testo,
dopodiché buttano sulla carta termini deformati che paiono veri e propri
neologismi. Nascono in tal modo i cosiddetti “fiori di banco”, puntualmente
raccolti in deliziosi libretti che di tanto in tanto ricompaiono aggiornati
sulle bancarelle. Penso che abbiano una circolazione soprattutto fra gl’insegnanti,
giacché costituiscono un’esilarante ricreazione, sorta di posteriore rivalsa
che ripaga di tante ore grigie trascorse a correggere banalità.
Così un bambino colse male il termine e riferì che il
direttore d’orchestra, all’inizio di ogni brano musicale, deve dare il lillà ai suonatori. Un altro scrisse
che il più grande strumento della famiglia degli archi, quello che fa
rimbombare la sua voce grave nell’orchestra, è il contrabbando. Un terzo affermò candidamente: «Il contrappasso è uno strumento musicale,
ma non ho ancora capito cosa c’entra con la Divina
Commedia!». Un quarto riferiva la famosa aria del Rigoletto con una variazione significativa: «Partigiani, vil razza dannata!». Un’ingenua scolara deve aver fatto
esperienza in sala da concerto, e infatti il suo pensierino non fa ridere più
di tanto, perché corrisponde a una realtà ben conosciuta da ogni melomane:
«la sinfonia è divisa in quattro tempi perché, fra un tempo e l’altro, la
gente possa tossire»! Fra gli studenti più grandi continuano i granchi, solo
che saltano fuori su argomenti più ‘dotti’: il canone enigmistico, il modo ipofrigido, la
pazzacaglia (o passaquaglia), i membrofoni (con la carcassa), e via discorrendo.
Il libretto dal quale ho tratto alcuni precedenti
esempi[2] offre
anche qualche spunto celebre, come la recisa stroncatura che il compositore francese
Charles Gounod espresse sulla Sinfonia in Re minore di César Franck: «l’affermazione
dell’incompetenza spinta fino al dogmatismo». Non sono molto rari questi casi
di totale incomprensione tra i musicisti, ma, se i precedenti non presentano
toni umoristici, ben altrimenti caustico suona il giudizio che Saint-Saëns
espresse sul Preludio, Corale e Fuga di Franck, il cui ingegno
innovativo scandalizzava all’epoca i tradizionalisti: «pezzo di esecuzione disgraziata
e scomoda in cui il Corale non è un corale, la Fuga non è una fuga perché
perde di coraggio dopo aver terminato l’esposizione e continua con
interminabili digressioni che non assomigliano a una fuga più di quanto uno
zoofita assomigli a un mammifero, e che fanno pagare a caro prezzo una
brillante perorazione.» Irresistibile il paragone biologico, indizio di
quella passione naturalistica che spinse Saint-Saëns a coniugare l’ironia con
il mondo degli animali nel suo celebre Carnevale,
in cui fra l’altro non esita a mettere alla berlina se stesso (Fossili). Il francese fu uno dei
compositori più precoci, infatti qualcuno aveva detto che a cinque anni mancava
già di inesperienza!
L’ironia dello spirito gallico, che anche Debussy
riversò nei suoi scritti critici (raccolti in volume sotto il titolo di Monsieur Croche, antidilettante),
rimanda al fine “humour” britannico, che in ambito musicale ebbe modo di
dispiegarsi per esempio nei pungenti scritti di Bernard Shaw, il quale
esercitò per un decennio ls critica musicale, firmandosi «corno di bassetto».
Ne Il wagneriano perfetto (1898) realizzò un atto di propaganda socialista più che
musicale. È autore fra l’altro del celebre motto «Chi sa lavora; chi non sa
insegna»[3]. Importante il capitolo dei disegni caricaturali, che
hanno preso per soggetto varie personalità di compositori e interpreti nel
corso della storia, come pure consuetudini sociali quali le esecuzioni nei
saloni delle famiglie aristocratiche, le lezioni alle signorine in cerca di
marito, e via dicendo.
Rinomate le caricature anglosassoni, le quali contano esponenti
di spicco, dal romano Pier Leone Ghezzi nel Settecento William Hogart, dal
celebre tenore Enrico Caruso a Gerard Hoffnung, che ha disegnato vari volumetti
a partire dagli anni Cinquanta. Costoro rimangono tuttora i modelli di tanti
vignettisti, fino agli italiani Novello e Chiostri, tanto per fare due nomi
vicino a noi. Legato all’umorista inglese è il “Musicfestival” tenuto alla
Royal Festival Hall, di cui la EMI ha pubblicato tre edizioni[4] assai spassose: chi conosce il repertorio
concertistico usuale può farsi gustose risate ascoltando il Concerto popolare messo insieme da Franz
Reizenstein (dove l’orchestra attacca il primo Concerto per pianoforte di
Ciaikovski ma il solista si ostina a suonare quello di Grieg), l’Ouverture Leonora n.4 di Beethoven, I racconti
di Hoffnung (pasticcio creato con citazioni da alcuni dei melodrammi più
famosi), Horrortorio (parodia delle
Cantate bachiane). Prosegue oggi su questa linea il musicologo americano Peter
Schickele, noto burlone ideatore di P.D.Q. Bach, ultimo dei figli di Johann
Sebastian e Anna Magdalena. Essendo il meno dotato dal punto di vista musicale,
avrebbe plagiato un gran numero di contemporanei cosicché, secondo lo
Schickele, nelle sue partiture si potrebbero rinvenire tracce di ogni possibile
stile musicale; fra le principali vanno citare Il clavicembalo intemperante, Oedipus
Tex, Ted e Alice (opera in un
atto contro natura), la cantata canina Wachet
Arf!, la Sonata per viola a quattro
mani, il Concerto per due pianoforti
contro l’orchestra.
Spirito mordace in ambito inglese fu il direttore d’orchestra
Thomas Beecham, che non aveva certamente nostalgie per l’arte barocca, dal
momento che definiva il timbro del clavicembalo come «l’amplesso di due scheletri
su una lamiera». Nella nostra epoca di filologismo a oltranza è una battuta che
può veramente esplicare tutta la sua grottesca ironia. Ma ancora migliore si
presenta un rimprovero, di cui non ricordiamo la data e il luogo perché
citiamo a memoria, che Beecham rivolse a una violoncellista della sua
orchestra: «Lei ha in mezzo alle gambe uno strumento che potrebbe rendere
felici migliaia di persone e non sa far altro che grattarlo!». Probabilmente
la donna non interpretava la musica a dovere, ma con una allusione sessuale
tipica della sua vena, il direttore produsse un doppio senso piuttosto pesante;
sono quelle battute le quali, nate spontaneamente, a rifletterci su offrono
valenze diverse, che portano molto più lontano di quanto pensassero i loro
ideatori. Anche per queste Beecham rimase celebre. Richiama alla mente alcuni
versi dell’Antologia palatina, dedicati a una suonatrice di
cetra:
Quando ti sono accanto, o citareda,
io ti vorrei suonar come tu suoni,
palpando in alto e pizzicando in mezzo.
Del resto fra i musicisti sono sempre esistiti gli
spiriti burloni: alcuni si sono espressi per mezzo della propria arte (si
pensi alle caricature di certi madrigali rappresentativi, culminanti nel
madrigalismo parodistico di Adriano Banchieri, col suo Contrappunto bestiale alla mente, o al Musikalischer Spass di Mozart, o ancora al Concerto comique di Michel Corrette, per tre flauti e continuo,
fino a Cage), altri con gli scritti. Esiste infatti un’abbondante letteratura
umoristica sulla musica: libri compilati da strumentisti e direttori d’orchestra[5], talora compositori: da Der musicalische Quack-salber [Il ciarlatano musicista] di Kuhnau a
L’opera da tre Sol (Bompiani 1993)
della Banda Osiris, dal Teatro alla moda
di Benedetto Marcello fino al Vademecum di
Bruno Canino[6], che tratteggia con spirito scanzonato una serie di
situazioni ben note alle persone del mestiere.
Abbondano anche i dizionari umoristici, come quello di
Barber e Donald[7], dal quale stralciamo qualche definizione.
CORNO INGLESE: strumento a fiato così chiamato perché
non è inglese né tantomeno un corno. Non va confuso con il corno francese, che
è tedesco.
FUGA: Forma compositiva caratteristica del periodo
barocco simile in tutto e per tutto a un cruciverba, ma con meno definizioni.
Il più grande compositore di fughe fu J.S.Bach, che morì prima di completare il
suo più fertile lavoro, l’Arte della fuga.
Da allora molti musicisti sono morti solo cercando di eseguirla.
MESSIA: Oratorio di Händel eseguito ogni santo Natale
da qualche coro che ritiene di esserne all’altezza, con la collaborazione di
strumentisti che hanno bisogno urgente di quattrini. É l’equivalente musicale
del mod.740 e della morte: tormentoso e inevitabile.
MEZZOSOPRANO: Sorta di soprano meno esagitato. É
leggermente più intelligente perché minore è l’effetto prodotto dalle note
acute, che notoriamente intontiscono il cervello.
RECITATIVO: pettegolezzo musicale durante il quale si
svolge velocemente la storia di un’Opera o di un Oratorio. Purtroppo il tempo
guadagnato è poi malamente sprecato per dar spazio a lunghe Arie col Da Capo.
[1] É
interessante, a tal proposito, riportare quanto ha scritto il musicologo
Giordano Montecchi su un genere come l’operetta: «Musica “sbagliata” al momento
giusto: è questa la leva potente che rende irresistibile il teatro di
Offenbach, dove anacronismi, ampollosità, musiche da strada, ballabili da café-chantant sembrano rincorrersi alla
ricerca di una loro dissolta paternità e giustificazione nei termini della
convenzionale drammaturgia operistica. Esempi celeberrimi come il galop degli Dèi e il can-can finale di Orphée aux enfers sono esempi paradigmatici della sfrontata discrepanza
fra la situazione drammatica e la veste musicale che essa indossa. Per dirla
con Bergson, in questa discrepanza si genera quell’“errore” che sta alla radice
del comico e dal quale si avvia la reazione a catena che permette di far
saltare tutti i nessi della rappresentazione tradizionale, sostituendoli con
una logica alternativa, ma altrettanto esigente: quella del paradosso.» (Da Una storia
della musica, Superbur Saggi, p.565)
[2] La scuola dei granchi, Piero Gribaudi
Editore.
[3] Che è stato così sviluppato dal tenore
Luciano Pavarotti: «Chi sa fare la masica la fa, chi la sa fare meno la
insegna, chi la sa fare ancora meno la organizza, chi la sa fare così così la
critica.»
[4] Le annate sono 1956, 1958 e 1961; i due CD
portano la sigla CMS 7 63302. Altro CD da non perdere è quello intitolato The Glory (????) of the Humain Voice
(RCA GD 61175), del soprano dilettante F.Foster Jenkins.
[5] Ma
anche musicologi, come il dotto e ponderoso saggio di Andrea Della Corte, Satire e grotteschi di musiche e di musicisti d’ogni tempo, Utet 1946.
[6]
B.Canino: Vademecum del pianista da camera,
Passigli.
Esistono anche studi seri sull’argomento.
Citiamo solo i principali fra i più recenti: F.Petrella (De Musica, 2003); R.Dalmonte: Il
comico nella musica seria (Banfi, 1995); A.Collisani: L’umorismo musicale; T.Reik: L’ironie
dans la musique, in Écrits sur la
musique (Les belles lettres, Parigi 1984). Un capitolo a parte si potrebbe
compilare con le traduzioni di libri musicali da parte di traduttori non
musicisti, dove si trovano spesso delle chicche: triplette per terzine, gamme
per scale, e via dicendo.
[7]
D.W.Barber-D.Donald: Piccolo improbabile
glossario di musica, Càlamo.
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