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martedì 31 luglio 2012

31/07/2012 Martedì mattino. L'amore di una donna...non qualunque...

Buon giorno...


in questi giorni sono alla ricerca di uomini e donne da "sbattere" in Paradiso, Purgatorio e Inferno... Non temete...non ho complessi di megalomania...sì, lo so che qualcuno già lo pensa...tuttavia, in questo caso, non mi credo di essere il novello Dante... Semplicemente sono alla ricerca di personaggi illustri degli ultimi settecento anni da inserire nel nuovo Musical che sto scrivendo, una sorta di Divina Commedia retrograda in cui Dante, nel 2012, percorre a ritroso tutto il percorso del suo capolavoro...

Tra i tanti protagonisti del pensiero e dell'azione della storia del mondo ho incontrato lei, Virginia Woolf....anzi, per essere più precisi, Adeline Virginia Stephen Woolf...

Tutte/i voi conoscete la grande scrittrice, una delle più importanti della letteratura del secolo scorso, attivista convinta per la difesa dei diritti delle donne... Molte/i di voi avranno letto qualche sua opera...

Questa mattina non mi soffermerò sulla sua produzione ma sulla lettera che Virginia scrisse al marito Leonard prima di suicidarsi nel fiume Ouse, a pochi metri da casa sua... Una morte fortemente voluta...al punto da costringerla a infilarsi nelle tasche una quantità di pietre sufficiente per evitarle di "correre il rischio" di tornare a galla per la legge della fisica... o per la più sacrosanta legge della sopravvivenza!

Virginia incominciò a soffrire di depressione sin da piccola, fin da quel giorno in cui i suoi due fratellastri abusarono di lei... La morte della madre, prima, e del padre, poi, contribuirono ad acuire il suo malessere... La prima guerra mondiale, ma soprattutto la seconda, non la fecero sopravvivere a sé stessa! Così, il 28 marzo 1941 prese la fatidica decisione, non prima di aver lasciato uno struggente biglietto al marito.


Leggete questa breve lettera...io ci colgo un amore profondo e un altruismo estremo... Una lucida volontà di "scagionare" il compagno della sua vita dai rimorsi. Quante volte abbiamo letto di persone che si sono tolte la vita senza lasciare una riga che spiegasse il gesto estremo. Non ci si può aspettare per forza altruismo da chi si sta separando dalla propria esistenza. Se in quell'attimo  terribile uno finisce per non amare più sé stesso, né la vita che sta vivendo, perché dovrebbe ricordarsi della sopravvivenza di chi rimane a piangere incredulo di fronte a tanta crudeltà? Virginia non era matta...era, certamente, depressa...ma credo che il suo male più grande fosse l'estrema sensibilità che colpisce soprattutto chi crea a arte... Non esiste arte senza sofferenza... E la sua "lucida follia",  che le ha permesso  di consegnare alla storia la data della cessazione della propria esistenza, non le ha impedito di gridare all'uomo della sua vita il suo amore...la sua riconoscenza. "Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile" e ancora... "devo tutta la felicità della mia vita a te"..."Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere"... In quelle poche parole c'è tutta la volontà di Virginia di assumersi da sola, e per sempre la responsabilità del suo atto impietoso. Lei, sola, contro l'impossibilità di vivere in equilibrio, Lei sola...contro la morte. La cessazione della sua esistenza è quindi affar suo e solo suo... "Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu"... 

SE... Se...Se...se..se...se... 

Con i se non si salva la vita di un essere umano...neppure la propria... ma con le parole si può salvare la vita di chi resta... Parole semplici quelle di colei che con le parole ha costruito castelli di carta... Non castelli in aria, ma saldamente ancorati all'arte più vera... Allo stesso tempo parole pesanti come pietre...più pesanti di quelle che l'hanno trascinata laggiù...lontano dal mondo...


«Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n'è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi. V. »




«Dearest, I feel certain that I am going mad again. I feel we can't go through another of those terrible times. And I shan't recover this time. I begin to hear voices, and I can't concentrate. So I am doing what seems the best thing to do. You have given me the greatest possible happiness. You have been in every way all that anyone could be. I don't think two people could have been happier 'til this terrible disease came. I can't fight any longer. I know that I am spoiling your life, that without me you could work. And you will I know. You see I can't even write this properly. I can't read. What I want to say is I owe all the happiness of my life to you. You have been entirely patient with me and incredibly good. I want to say that – everybody knows it. If anybody could have saved me it would have been you. Everything has gone from me but the certainty of your goodness. I can't go on spoiling your life any longer. I don't think two people could have been happier than we have been. V »




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