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lunedì 25 giugno 2012

Saluto pomeridiano...

Buon pomeriggio...

Naturalmente, come potete immaginare, oggi è una giornata molto complicata. Al mattino riunione per definizione III prova scritta all'esame di stato, poi lo svolgimento della stessa. Ora abbiamo terminato le correzioni delle quattro discipline e ci accingiamo alle operazioni conclusive che porteranno alla definizione dei punteggi della I, II e III prova...
Per tenervi compagnia, mi avalgo pertanto ancora una volta dell'aiuto del collega Andrea Gherzi. Pubblicherò, pertanto la terza puntata del suo interessante saggio sull'Umorismo in musica....

Leggetelo con attenzione...

Se volete rileggere le puntate precedenti...



E ora...ecco la terza puntata...


Andrea Gherzi, Umorismo in Musica (terza parte)

Così funziona il meccanismo nel genere dell’opera buffa, dove una musica allegra accom­pagna le situazioni umoristiche proposte dal libretto e realizzate dalla messa in scena[1]. Non ci di­lunghiamo pertanto sulla legittimità della comicità musi­cale, che rientra nell’annosa questione più generale del valore semantico attribui­bile al linguaggio dei suoni. Qui intendiamo solamente pro­porre una pic­cola rassegna umoristica di casi a tutti com­prensibili, quegli er­rori cioè com­piuti in buona fe­de scrivendo o discorrendo di opere musicali. Se rinvenire fra i suoni una pre­ci­sa volon­tà ironica può risultare faccenda controversa e spesso difficilmente dimostra­bile, irresi­stibile sgorga l’ilarità provo­cata dagli strafalcioni o dai lapsus di chi storpia i titoli delle composi­zioni musicali, ne con­fonde gli autori e dalla mesco­lanza di ambiti diversi crea giochi di parole originali quanto sor­prendenti. Teniamo a precisare che la carrellata di casi che presentiamo, anche i più singolari, è assolutamente autentica e documentata.

Tali casi abbondano nei compiti degli scolari, che magari ascoltano malamente la lezione o leggono distrattamente qualche te­sto, dopodiché buttano sulla carta termini deformati che paio­no veri e propri neologismi. Nascono in tal modo i cosiddetti “fiori di banco”, puntualmente raccolti in deliziosi libretti che di tanto in tanto ricompaiono aggiornati sulle bancarelle. Penso che ab­bia­no una circolazione soprattutto fra gl’insegnanti, giacché co­stituiscono un’esilarante ricreazione, sorta di posteriore rivalsa che ripaga di tante ore grigie tra­scorse a correggere banalità.
Così un bambino colse male il termine e riferì che il direttore d’orchestra, all’inizio di ogni brano musicale, deve dare il lillà ai suona­tori. Un altro scrisse che il più grande strumento della famiglia degli archi, quello che fa rimbombare la sua voce grave nell’orchestra, è il contrabbando. Un terzo affermò candidamente: «Il contrappasso è uno strumento musicale, ma non ho ancora capito cosa c’entra con la Divina Commedia!». Un quarto riferiva la famosa aria del Rigoletto con una variazione significativa: «Partigiani, vil razza dannata!». Un’ingenua scolara deve aver fatto esperienza in sala da concerto, e infatti il suo pen­sierino non fa ridere più di tanto, perché corrisponde a una realtà ben co­nosciuta da ogni melo­mane: «la sin­fonia è divi­sa in quattro tempi perché, fra un tempo e l’altro, la gente possa tos­sire»! Fra gli studenti più grandi continuano i granchi, solo che saltano fuori su argomenti più ‘dotti’: il canone enigmistico, il modo ipofrigido, la pazzacaglia (o passaquaglia), i membrofoni (con la carcassa), e via discorrendo.
Il libretto dal quale ho tratto alcuni precedenti esempi[2] offre anche qualche spunto celebre, come la recisa stroncatura che il compositore francese Charles Gounod espresse sulla Sinfonia in Re minore di César Franck: «l’affermazione dell’incompetenza spinta fino al dogmatismo». Non sono molto rari questi casi di totale in­comprensione tra i musicisti, ma, se i precedenti non presentano toni umo­ristici, ben altrimenti caustico suona il giudizio che Saint-Saëns espresse sul Preludio, Cora­le e Fuga di Franck, il cui ingegno innovativo scandalizzava all’epoca i tradizionalisti: «pezzo di ese­cuzione di­sgraziata e scomoda in cui il Corale non è un corale, la Fuga non è una fuga per­ché perde di coraggio dopo aver terminato l’esposizione e continua con interminabili digres­sioni che non as­somigliano a una fuga più di quanto uno zoofita assomigli a un mammifero, e che fanno pagare a caro prezzo una brillante perora­zione.» Irresistibile il paragone biologico, indi­zio di quella passione naturalistica che spinse Saint-Saëns a co­niugare l’ironia con il mondo degli ani­mali nel suo celebre Carne­vale, in cui fra l’altro non esita a mettere alla berlina se stesso (Fossili). Il francese fu uno dei compositori più precoci, infatti qualcuno aveva detto che a cinque anni mancava già di inesperienza!
L’ironia dello spirito gallico, che anche Debussy riversò nei suoi scritti critici (raccolti in vo­lume sotto il titolo di Mon­sieur Croche, antidilettante), rimanda al fine “humour” britan­nico, che in ambito musicale ebbe modo di dispie­garsi per esempio nei pungenti scritti di Bernard Shaw, il quale esercitò per un decennio ls critica musicale, firmandosi «corno di bassetto». Ne Il wagneriano perfetto (1898) realizzò un atto di propaganda socialista più che musicale. È au­tore fra l’altro del celebre motto «Chi sa lavora; chi non sa insegna»[3]. Importante il capitolo dei disegni caricaturali, che hanno preso per soggetto varie personalità di compositori e interpreti nel corso della storia, come pure consuetudini sociali quali le esecuzioni nei saloni delle famiglie aristocratiche, le lezioni alle signorine in cerca di marito, e via dicendo.
Rinomate le caricature anglosassoni, le quali contano esponenti di spicco, dal romano Pier Leone Ghezzi nel Settecento William Hogart, dal celebre tenore Enrico Caruso a Gerard Hoffnung, che ha disegnato vari volumetti a partire dagli anni Cinquanta. Costoro rimangono tuttora i modelli di tanti vignettisti, fino agli italiani Novello e Chiostri, tanto per fare due nomi vicino a noi. Legato all’umorista inglese è il “Musicfestival” tenuto alla Royal Festival Hall, di cui la EMI ha pubblicato tre edizioni[4] assai spassose: chi conosce il repertorio concertistico usuale può farsi gustose risate ascoltando il Concerto popolare messo insieme da Franz Reizenstein (dove l’orchestra attacca il primo Concerto per pianoforte di Ciaikovski ma il solista si ostina a suonare quello di Grieg), l’Ouverture Leonora n.4 di Beethoven, I racconti di Hoffnung (pasticcio creato con citazioni da alcuni dei melodrammi più famosi), Horrortorio (parodia delle Cantate bachiane). Prosegue oggi su questa linea il musicologo americano Peter Schickele, noto burlone ideatore di P.D.Q. Bach, ultimo dei figli di Johann Sebastian e Anna Magdalena. Essendo il meno dotato dal punto di vista musicale, avrebbe plagiato un gran numero di contemporanei cosicché, secondo lo Schickele, nelle sue partiture si potrebbero rinvenire tracce di ogni possibile stile musicale; fra le principali vanno citare Il clavicembalo intemperante, Oedipus Tex, Ted e Alice (opera in un atto contro natura), la cantata canina Wachet Arf!, la Sonata per viola a quattro mani, il Concerto per due pianoforti contro l’orchestra.
Spirito mordace in ambito inglese fu il direttore d’orchestra Thomas Beecham, che non ave­va certamente nostalgie per l’arte barocca, dal momento che definiva il timbro del clavicem­balo come «l’amplesso di due scheletri su una lamiera». Nella nostra epoca di filologismo a oltranza è una battuta che può vera­mente esplicare tutta la sua grottesca ironia. Ma ancora mi­gliore si presen­ta un rimprovero, di cui non ricordiamo la data e il luogo perché citiamo a memo­ria, che Bee­cham rivolse a una violon­cellista della sua orchestra: «Lei ha in mezzo alle gambe uno stru­mento che potrebbe rendere felici migliaia di persone e non sa far altro che grattarlo!». Probabil­mente la donna non interpretava la musica a dovere, ma con una allusione sessuale tipica della sua vena, il direttore produsse un doppio senso piuttosto pe­sante; sono quelle battu­te le quali, nate spontaneamente, a rifletterci su offrono valenze diverse, che portano molto più lonta­no di quanto pensassero i loro ideatori. Anche per queste Beecham rimase celebre. Richiama alla mente alcuni versi dell’Antologia palatina, dedicati a una suonatrice di cetra:

Quando ti sono accanto, o citareda,
io ti vorrei suonar come tu suoni,
palpando in alto e pizzicando in mezzo.

Del resto fra i musicisti sono sem­pre esistiti gli spiriti bur­loni: alcuni si sono espressi per mezzo della propria arte (si pensi alle caricature di certi madrigali rappresentativi, culminanti nel madrigalismo parodistico di Adriano Ban­chieri, col suo Contrappunto be­stiale alla mente, o al Musikalischer Spass di Mo­zart, o ancora al Concerto comique di Michel Corrette, per tre flauti e continuo, fino a Cage), altri con gli scritti. Esiste infatti un’abbondante lette­ratura umoristica sulla musica: libri compilati da strumen­tisti e direttori d’orchestra[5], talora composi­tori: da Der musicalische Quack-salber [Il ciarlatano musicista] di Kuhnau a L’opera da tre Sol (Bompiani 1993) della Banda Osiris, dal Teatro alla moda di Benedetto Marcello fino al Vademecum di Bruno Ca­nino[6], che tratteggia con spirito scan­zonato una serie di situa­zioni ben note alle per­sone del mestiere.
Abbondano anche i dizionari umoristici, come quello di Barber e Donald[7], dal quale stral­ciamo qualche definizione.

CORNO INGLESE: strumento a fiato così chiamato perché non è in­glese né tantomeno un corno. Non va confuso con il corno francese, che è tedesco.
FUGA: Forma compositiva caratteristica del periodo barocco si­mile in tutto e per tutto a un cruciverba, ma con meno defini­zioni. Il più grande compositore di fughe fu J.S.Bach, che morì prima di completare il suo più fertile lavoro, l’Arte della fuga. Da allora molti musicisti sono morti solo cercando di eseguirla.
MESSIA: Oratorio di Händel eseguito ogni santo Natale da qual­che coro che ritiene di esserne all’al­tezza, con la collaborazione di strumentisti che hanno bisogno urgente di quattrini. É l’equivalente musicale del mod.740 e della morte: tormentoso e inevitabile.
MEZZOSOPRANO: Sorta di soprano meno esagitato. É leggermente più intelligente perché minore è l’ef­fetto prodotto dalle note acute, che notoriamente intontiscono il cervello.
RECITATIVO: pettegolezzo musicale durante il quale si svolge velocemente la storia di un’Opera o di un Oratorio. Purtroppo il tempo guadagnato è poi malamente sprecato per dar spazio a lunghe Arie col Da Capo.



[1] É interessante, a tal proposito, riportare quanto ha scritto il musicologo Giordano Montecchi su un genere come l’operetta: «Musica “sbagliata” al momento giusto: è questa la leva potente che rende irresistibile il teatro di Offenbach, dove anacronismi, ampollosità, musiche da strada, ballabili da café-chantant sembrano rincor­rersi alla ricerca di una loro dissolta paternità e giustificazione nei termini della convenzionale drammaturgia operistica. Esempi celeberrimi come il galop degli Dèi e il can-can finale di Orphée aux enfers sono esempi paradigmatici della sfrontata discrepanza fra la situazione drammatica e la veste musicale che essa indossa. Per dirla con Bergson, in questa discrepanza si genera quell’“errore” che sta alla radice del comico e dal quale si avvia la reazione a catena che permette di far saltare tutti i nessi della rappresentazione tradizionale, sosti­tuendoli con una logica alternativa, ma altrettanto esigente: quella del paradosso.» (Da Una storia della musica, Superbur Saggi, p.565)
[2] La scuola dei granchi, Piero Gribaudi Editore.
[3]  Che è stato così sviluppato dal tenore Luciano Pavarotti: «Chi sa fare la masica la fa, chi la sa fare meno la insegna, chi la sa fare ancora meno la organizza, chi la sa fare così così la critica.»
[4]  Le annate sono 1956, 1958 e 1961; i due CD portano la sigla CMS 7 63302. Altro CD da non perdere è quello intitolato The Glory (????) of the Humain Voice (RCA GD 61175), del soprano dilettante F.Foster Jenkins.
[5] Ma anche musicologi, come il dotto e ponderoso saggio di Andrea Della Corte, Satire e grotteschi di musiche e di musicisti d’ogni tempo, Utet 1946.
[6] B.Canino: Vademecum del pianista da ca­mera, Passigli.
Esistono anche studi seri sull’argomento. Citiamo solo i principali fra i più recenti: F.Petrella (De Musica, 2003); R.Dalmonte: Il comico nella musica seria (Banfi, 1995); A.Collisani: L’umorismo musicale; T.Reik: L’ironie dans la musique, in Écrits sur la musique (Les belles lettres, Parigi 1984). Un capitolo a parte si potrebbe compilare con le traduzioni di libri musicali da parte di traduttori non musicisti, dove si trovano spesso delle chicche: triplette per terzine, gamme per scale, e via dicendo.
[7] D.W.Barber-D.Donald: Piccolo improbabile glossario di musica, Càlamo.


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