Buon giorno...
L'ultima volta che sono entrato a Villa Gavotti avevo, più o meno, nove anni... Eppure quel ricordo è "fresco"...come fosse di ieri...
Io e la mia famiglia trascorrevamo sempre le nostre vacanze estive ad Albissola... Sarà anche per questo che sono così legato a quel mare...
Ogni anno si incontravano i vecchi amici...e si costruivano nuove relazioni... Con questi amici si viveva bene la vacanza... Si faceva il bagno...si mangiava...si visitavano luoghi...
Uno di questi fu proprio la Villa Gavotti...
Non è così facile da visitare... E' proprietà privata della famiglia Gavotti... Diverso il caso dell'altra bellissima "casa" della città, la Villa Faraggiana, proprietà del Comune di Novara...
Villa Gavotti appare come un "fortino" inespugnabile... Per visitarla bisogna prendere accordi...almeno oggi... Ai tempi non ricordo...
Però mi viene alla mente quel monumento sontuoso, fatto di statue, scale enormi, giardini meravigliosi...e mi tornano nel cuore quei momenti bellissimi...fatti di famiglia...
Questa sera ritornerò in quel luogo magico...suonerò con l'amico e socio Claudio Gilio (quindi con ACROSS DUO) proprio su quello scalone... Spero di ricevere emozioni fortissime...e di riuscire a trasmetterle al pubblico che verrà ad ascoltarci...
Spero di ritrovare il ricordo di quegli occhi sereni e malinconici di mia madre...che mi mancano da tanto tempo...
Da sinistra: mia mamma, io, mia sorella e l'amica Rita |
Per chi volesse saperne di più sulla villa, ho "catturato" dalla rete queste notizie...
Veniva
chiamata la Cà grande, probabilmente era un caseggiato a due piani
fiancheggiato da una torre. La tradizione la riconosce casa natale di Giuliano
della Rovere, poi divenuto nel 1503 Giulio II, il pontefice umanista, mecenate
di Michelangelo e di Bramante. Le antiche carte dicono che appartenesse ai
della Rovere da tempo immemorabile. Nel Settecento fu trasformata in uno dei
più originali edifici rococò in Italia.
La sua
presenza è il segno preminente, ma non unico, di un grandioso progetto teso a
trasformare una vasta porzione di territorio di Albisola in un'unità dove
paesaggio, agricoltura, arte, architettura venivano riproposti innovati sulla
scia del gusto dei secoli dei lumi. Attorno alla villa, su un territorio
paludoso e soggetto alle piene dei due torrenti che scendono nella piana di
Albisola, il Sansobbia e il Riobasco, furono costruite le arginature, ristretti
gli alvei, scavati canali per la raccolta e l'utilizzo delle acque. Queste
opere vennero intraprese per bonificare i terreni già coltivi, acquisire nuovo
terreno agrario e introdurre nuove colture. Furono rifatte o riadattate le
abitazioni rustiche e, dal limitare dei campi, creati nuovi percorsi a modo di
crose.
Le case e i
muri lungo le strade furono ingentiliti con intonaci colorati giallo arancio,
scanditi da elementi architettonici, affrescati in chiaro scuro. Ai quadrivi
gli ingressi furono abbelliti con esedre, vasi, cancelli.
L'opera, più
che secolare, di bonifica e di trasformazione del paesaggio fu voluta dalle
famiglie Rovere e Gavotti. Dalla seconda metà del XVIII secolo si prolungò, nel
turbolento susseguirsi della storia di quegli anni, fino a tutto il secolo
successivo. Ad iniziarla fu Francesco Maria della Rovere, ultimo della sua
famiglia ed a lui va il merito di aver voluto edificare con vero spirito di
mecenate l'edificio attuale. La villa nacque su una costruzione risalente al XV
secolo; dell'antico edificio rimangono ancora tracce delle mura, del piede
della torre e dei piani, sfalsati rispetto agli attuali più alti e imponenti.
Gerolamo Brusco, architetto della Serenissima Repubblica di Genova, disegnò e
diresse i lavori di trasformazione.
Aggiunse al
vecchio edificio due lunghi corpi ad un piano, che, partendo da un lato,
cingono e racchiudono il giardino all'italiana, e alleggerì la prospettiva su
strada mediante il prolungamento di un'ala del corpo di fabbrica terminante con
una cappella. Integrò le nuove strutture con terrazze ingentilite da balaustre
marmoree, animate dai sinuosi e morbidi tratti rococò e ornate con statue e
vasi di marmo, opera dei carraresi Lorenzo Ferzetti e dei fratelli Antonio e
Francesco Binelli.
Il centro
della prospettiva, precedentemente riferita al palazzo, venne spostato all'asse
del giardino: infatti dalle terrazze si scende per due scalinate simmetriche,
che si incontrano sul piano rialzato della fontana "1a peschiera";
qui a modo di palcoscenico si dilatano gli spazi e lo sguardo si dirige verso
un imponente grottesco, dominato da Ercole in lotta con il Leone Nemeo. Le
parti esterne furono festosamente colorate con una calda tinta giallo arancio e
decorate intorno alle ampie finestre con chiare cornici in affresco, dai
timpani slanciati, alleggeriti da fiori e da ornamenti in chiaro scuro.
Il giardino
venne adornato con sirene e delfini che gettano acqua nelle fontane marmoree,
con grandi vasi di terracotta festonati, cotti nelle fornaci di Carlo I di
Borbone a Portici da Gaetano Lottini. I marmi delle statue furono presi a
Carrara e toscani sono stati gli scultori e gli scalpellini che le modellarono.
Le pietre dei grotteschi e le stalattiti provengono dalle grotte naturali
dell'entroterra.
Gli interni
riflettono ancor più dell'esterno, per eleganza e preziosità, l'adesione al
modulo arcadico. Le sale sono decorate con stucchi vagamente colorati. Quella
della Primavera ha le pareti e la bianca una finestra e l'altra hanno capitelli
sormontati da vasi, foggiati con libera ed originale fantasia. La sala
dell'Estate è adorna di putti, che, sopra una sinuosa cornice, mietono il
grano; sulla volta alberi, carichi di frutti, si alzano in altorilievo verso la
curva di un cielo, attraversato da mitici uccelli. Infine nella sala
dell'Autunno, tralci carichi d'uva partono da capitelli, da tini, da cesti,
posti sopra le mostre, si estendono sulla volta e vanno ad incorniciare la
parete e le ampie finestre. Queste sale si aprono in uno dei due corpi di
fabbrica che circondano il giardino, quasi a costituirne una sorta di
continuità. Di fronte, nel corpo a sud, la stagione dell'Inverno mostra pareti
ricoperte da rocce e da stalattiti e celati tra queste alcuni specchi ampliano
le prospettive e le luci che si riflettono da candelabri a forma di rami di
corallo.
Sono le
quattro Stagioni dell'anno, cui fu dedicata la villa. In altre sale ritorna
puntuale la loro presenza, ai piedi degli archi, sulle pareti, all'aperto,
ovunque era possibile formare un quadrivio: maschere, volti, fauni, putti,
ninfe ripropongono, con infinita consapevole grazia, il mistero del tempo che
corre, della realtà che svanisce. Gli stucchi sono di mano dei fratelli Porta,
decoratori lombardi, cui si dovevano già molte ed ammirate opere, eseguite in
Baviera ed in Austria. Con loro e dopo di loro, a più riprese, anche nel secolo
successivo, lavorarono tra gli altri i fratelli Betalini, Gaspare Astengo,
Bartolomeo Bagutti e Alessandro Bolina.
La
decorazione degli altri ambienti fu probabilmente eseguita su disegni degli
stessi e realizzata in parte nello stesso periodo, in parte in tempi
successivi, da decoratori per lo più genovesi. Per leggerezza e finezza
dell'ornato spiccano tra le altre sale il salotto detto dei Papi, l'alcova, il
salotto detto della Dogaressa in onore di Caterina Negrone, il grande salone al
primo piano, adorno di busti in marmo, la stanza delle favorite, dove fanno mostra
in belle cornici sagomate ritratti di dame francesi. Nella cappella, con
l'altare ornato in perfetto rococò genovese sopra cui si alza l'altorilievo con
Santa Caterina, opera di Francesco Schiaffino, si ritrovano gli stessi moduli
decorativi, presenti negli altri ambienti.
La quadreria
della villa, come in molti palazzi genovesi, aveva anche una funzione
decorativa. Era ed è formata per lo più da ritratti di personaggi, appartenenti
alle famiglie che si sono succedute nella proprietà. I dipinti, provenienti da
altri luoghi, sono stati adattati alle forme delle cornici per armonizzarli al
decoro degli ambienti.
Tra le opere
figurative meritano un cenno particolare gli affreschi che Andrea Levantino
dipinse negli sguanci delle porte. All'illustre ceramista albisolese si deve il
disegno delle maioliche dei pavimenti di alcuni ambienti ed il rivestimento,
sempre in ceramica, all'interno dei caminetti. L'elegante mobilio, proprio
della villa, ripete le forme e i colori degli stucchi delle sale, di cui era
elemento complementare della decorazione. Fu realizzato da artigiani e
mobilieri genovesi, mentre i bracci da illuminazione, dalle libere forme
fantastiche, furono come, altri arredi intagliati, creazione del maestro del
legno Carlo Scotto. Pregevoli, tra i vari pezzi, le cornici delle specchiere,
inserite nei muri delle stanze e le consolles.
Francesco
Maria della Rovere dedicò a questa sua prediletta dimora ogni cura, profondendo
116.000 zecchini d'oro di Venezia nei lavori, che seguì anche quando, elevato al
dogato, visse continuativamente a Genova. Consapevole dell'importanza delle sue
iniziative e certo di non poterle portare a termine, istituì una primogenitura,
con l'obbligo per gli eredi di continuare il nome della sua famiglia e la sua
opera. Dopo la sua morte, ne11766, la vedova Caterina Negrone, figlia del doge
Domenico, interpretò le volontà del marito assegnando, nel 1789 , la
primogenitura al figlio della sorella. Da questi, alcuni anni dopo, pervenne ai
Gavotti, famiglia genovese e savonese, legata già da antichi vincoli di
parentela con i della Rovere.
I lavori,
prima così intensi, furono sospesi negli ultimi anni del secolo.
Sia le gravi
conseguenze delle crisi finanziarie della Spagna e della Francia, sia le ben
più sconvolgenti vicende della rivoluzione francese ne sconsigliarono il
proseguimento. Solo verso la fine del periodo napoleonico Luigi Maria Gavotti
poté restaurare quanto era stato guastato e riprendere i lavori interrotti il
secolo precedente. La villa tornò così ad essere ospitale punto d'incontro per
letterati, artisti. Sopraggiunsero poi i tempi eroici, di patrioti: Mazzini,
Bixio, Depretis, La Masa, Saffi, Avezzana, Bassi... ed essa fu piena di quei
fermenti generosi che avrebbero condotto all'unità d'Italia.
A questa sera...per chi verrà...
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